Tassa Netflix in Italia: verità o bufala?

By Jessica Lambiase

Tassa Netflix: verità o bufala?

Siamo tutti un po’ più felici da quando abbiamo saputo che Netflix, la nuova frontiera della TV via rete nonché fautrice di alcune delle serie più viste degli ultimi tempi, arriverà in Italia il prossimo Ottobre: i più maliziosi si son chiesti, fin dall’inizio, come il nostro amato/odiato governo pronto a rosicchiare soldini qui e là avrebbe potuto lucrare su un’entrata in scena simile, vista anche la (probabile) conseguente flessione che potrebbe riguardare non solo la TV di stato, ma anche la raccolta di canali nostrani più pubblicizzata dagli italiani (qualcuno ha detto… Mediaset?).

E le malelingue che cercavano un po’ di pane da mettere sotto ai denti potrebbero averlo trovato, in quanto un recente articolo di una non recente testata nazionale spiega chiaramente come ad attendere Netflix in Italia potrebbe esserci non soltanto l’utente assetato di novità, ma anche un bel nuovo balzello tutto nostrano: si chiamerebbe infatti “Tassa di scopo” quella citata nel documento sul “Rafforzamento del settore audiovisivo” presentato di recente da Franceschini e Giacomelli, e sarebbe una percentuale che le multinazionali come Google, Amazon e – appunto – Netflix dovrebbero versare allo stato italiano per incentivare la produzione cinematografica nostrana.

L’idea sarebbe “ereditata” dalla sorella Germania, che ha già messo a punto un disegno di legge simile e ne aspetta soltanto l’approvazione europea: il modello tedesco prevede infatti che una parte del fatturato realizzato da tali multinazionali sul suolo teutonico venga versata alle casse statali, così da finanziare la produzione di film e fiction (70%) ed incentivarne la distribuzione (30%). Insomma, come se “House of Cards” finanziasse “L’onore e il rispetto” e “Orange is the new Black” mettesse a disposizione parte del suo budget per il prossimo episodio de “Le tre rose di Eva”.

Uno scenario che spacca (almeno) in tre l’opinione pubblica: c’è chi condanna questo balzello, pensando che la produzione italiana sia “null’altro che roba per anziani e decerebrati” e che “tale pattume deve essere finanziato da chi lo produce e non da chi invece porta qualità”, chi appoggia una scelta simile sostenendo che “i tanti soldi guadagnati facilmente dalle multinazionali debbano essere almeno in parte reinvestiti nel Paese di chi contribuisce alla vita delle multinazionali stesse” e chi, invece, sostiene che il buon senso stia nel mezzo – pur ammettendo che un balzello del genere potrebbe gravare sulle tasche degli utenti finali.

E poi c’è la quarta opzione, quella che arriva invece dalla redazione del Digital Day – per chi non lo conoscesse è un sussidiario tecnologico de “Il corriere della sera” – che parla di una clamorosa bufala dovuta ad una lettura fin troppo approssimativa del documento presentato da Franceschini. Secondo il DDay, infatti, una fonte (anonima) molto vicina al MInistero dello Sviluppo Economico avrebbe smentito con forza questo aspetto menzionato sì nel documento, ma che non prevede applicazione in Italia:

Produciamo tanto per massimizzare gli ascolti tra i sessantenni,è ora di cambiare

Sostiene la fonte, sottolineando il fatto che il governo in prima persona voglia occuparsi di finanziare le opere cinematografiche italiane pensate per la “esportazione” globale, ed aggiunge che

Netflix non va tassata, va accolta a braccia aperte perché se inizia a investire in Italia ne giova tutto il settore

Quindi, scrive il DDay,

In Italia, ci assicurano, l’ipotesi è stata scartata da tutti coloro che hanno partecipato alla riunione ai margini del Festival del Cinema di Venezia, broadcaster inclusi: tutti, da Rai a Mediaset, non ritengono giusto tassare gli operatori stranieri che investono in Italia, sarebbe sufficiente che pagassero le tasse nel Paese dove operano.

Frecciata estremamente diretta quella dei dirigenti ma della quale, tuttavia, abbiamo già sentito parlare in passato e che ha in parte tratto i suoi benefici – Amazon, ad esempio, ha iniziato qualche mese fa a pagare le tasse in Italia seguendo il fisco nazionale.

Insomma la “tassa di scopo” si trasforma da un potenziale pericolo agli investimenti in Italia ad un’affermazione che odora di bufala; purtroppo non siamo in grado di assicurarvi con certezza che la verità stia dall’una o dall’altra parte, ma ci sentiamo di affermare che tassare una multinazionale che per la prima volta approccia nel nostro Paese sarebbe un vero e proprio disincentivo per chi potrebbe prenderla d’esempio e ci auguriamo, almeno per il momento, che questo balzello resti una voce nell’aere.

Prima di concludere va comunque specificato che nel “Documento sul rafforzamento del settore audiovisivo” ci sono due punti fondamentali che vanno a vantaggio degli utenti, punti confermati sia da “La Repubblica” che dal “DDay”: una volta acquistati contenuti e format esclusivi, le emittenti Italiane avranno un tempo limitato a disposizione per metterli in onda, pena la perdita dei diritti; inoltre, tali emittenti dovranno rendere disponibili i contenuti acquistati su tutti i canali di diffusione – dal televisore allo streaming -, pena la perdita dell’esclusività. Con buona pace di chi, con questa “esclusività”, tenta di accaparrarsi utenza a tempo indefinito con contratti fin troppo spesso svantaggiosi.

E questa, lasciatecelo dire, è cosa decisamente buona e giusta.

L’articolo Tassa Netflix in Italia: verità o bufala? appare per la prima volta su Chimera Revo – News, guide e recensioni sul Mondo della tecnologia.

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