Saturday’s Talks: inclusività e Kernel Linux: vanno davvero cambiati i termini?

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Abbiamo già raccontato di casi in cui, per evitare termini offensivi, alcuni software hanno cambiato termini al fine di rendere l’ambiente più “inclusivo”. Spesso si parla di termini quale il famoso “slave” (letteralmente, schiavo), termine storico usato spesso in ambiente cluster, come esempio più lampante di questa pratica.

Recentemente lo sviluppatore di Intel, nonché maintainer del kernel Linux, Dan Williams ha fatto una proposta per introdurre una terminologia più inclusiva nel documento ufficiale riguardo lo sviluppo del kernel del nostro amato OS.

La proposta, oltre che per il termine “slave”, riguarda anche il termine “blacklist”, entrambe parole che, secondo Williams:

Can distracts maintainers and injures developer efficiency

Possono distrarre i manutentori e danneggiare l’efficienza degli sviluppatori

La proposta ovviamente mette sul piatto anche delle possibili alternative:

  • slave: subordinate (subordinato), replica, responder (risponditore), follower (seguace), proxy o performer (esecutore)
  • blacklist: blocklist (lista di blocco) o denylist (lista di divieto)

In 2020 there was a global reckoning on race relations that caused many organizations to re-evaluate their policies and practices relative to the inclusion of people of African descent

Nel 2020 c’è stato una resa dei conti globale sulle relazioni razziali che ha portato molte organizzazioni a rivalutare le loro politiche e pratiche relative all’inclusione di persone di discendenza Africana

Certo, non i soli sviluppatori del kernel Linux stanno valutando queste modifiche, recentemente anche Microsoft ha pianificato la rimozione della terminologia master/slave e blacklist/whitelist dalla piattaforma GitHub, ed il tutto come diretta conseguenza delle proteste BLM (Black Lives Matters) in corso negli ultimi mesi dapprima negli Stati Uniti, poi in tutto il mondo.

Seppur andando ad analizzare il significato intrinseco delle parole questa pratica abbia un suo senso, probabilmente noi italiani la viviamo in maniera differente per diversi motivi, da una parte l’uso dei termini originali al posto degli equivalenti italiani, dall’altra per un background culturale e di integrazione che, forse, è ancora un pochino indietro rispetto a quello di altri stati.

Ed è proprio un’analisi fatta pensando a chi non è madrelingua inglese a far credere ad altri sviluppatori, come ad esempio Willy Tarreau, che questa rinomina crea più problemi che altro:

I’m personally thinking that for a non-native speaker it’s already difficult to find the best term to describe something, but having to apply an extra level of filtering on the found words to figure whether they are allowed by the language police is even more difficult. This injures developers efficiency.

Credo personalmente che per un non-madrelingua è già difficile trovare il termine migliore per descrivere qualcosa, ma dover applicare un livello aggiuntivo di filtraggio sulle parole per trovare quello che è permesso politicamente dal linguaggio è ancora più difficile. Questo danneggia l’efficienza degli sviluppatori.

Ovviamente anche Tarreau ha una proposta alternativa: le parole che si usano nel linguaggio tecnico non devono avere radici non-tecniche, perché questo porta ad associare un retroscena culturale che, chiaramente, è differente a seconda del paese in cui si vive.

Maybe instead of providing an explicit list of a few words it should simply say that terms that take their roots in the non-technical world and whose meaning can only be understood based on history or local culture ought to be avoided, because that actually is the real root cause of the problem you’re trying to address.

Forse invece di fornire una lista esplicita di poche parole basterebbe semplicemente dire che i termini che hanno radici non-tecniche ed i cui significati possono essere compresi solo basandosi sulla storia o cultura locale vanno evitate, perché questo è il problema fondamentale che stai cercando di indirizzare.

La discussione è molto accesa ed interessante sulla mailing list del kernel e, partendo da questa (e come persone non madrelingua inglese) potrebbe essere un buono spunto discuterne sulle nostre pagine.

Secondo voi, quindi, può avere senso rimpiazzare questi termini o si tratta di un non-problema? Fateci sapere nei commenti.

Utente Linux/Unix da più di 20 anni, cerco sempre di condividere il mio know-how; occasionalmente, litigo con lo sviluppatore di Postfix e risolvo piccoli bug in GNOME. Adoro tutto ciò che può essere automatizzato e reso dinamico, l’HA e l’universo container. Autore dal 2011, provo a condividere quei piccoli tips&tricks che migliorano il lavoro e la giornata.

Fonte: https://www.miamammausalinux.org/2020/07/saturdays-talks-inclusivita-e-kernel-linux-vanno-davvero-cambiati-i-termini/

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