App e siti streaming Musica: quale scegliere?

By Paolo Piccolino

spotify

Le applicazioni per lo streaming della musica hanno portato, nel corso degli anni, una rivoluzione che pian piano ha cambiato l’abitudine degli utenti: una di queste era sicuramente il download illegale e, seppur in maniera ancora non molto incisiva, ci sono riuscite in maniera soddisfacente e proprio per questo sono appoggiate oramai dalla maggior parte dei produttori.

Nonostante la scelta spesso ricada facilmente su Spotify, ci sono molte altre piattaforme di streaming musicale che meritano di essere citate e di essere portate all’attenzione di tutti in quanto tutte loro hanno dei difetti e dei pregi assolutamente da non sottovalutare. Andiamole quindi ad analizzare partendo dal presupposto che non verranno citate quelle piattaforme come Sondcloud che sono concentrate prevalentemente sulla condivisione di brani e/o album in maniera libera e spesso senza diritti di copyright nelle quali, però, è severamente vietato inserire tracce coperte da diritti d’autore senza l’esplicito consenso dell’artista.

Spotify

Come non cominciare da Spotify, la regina indiscussa delle app di streaming musicale? Lanciato nel 2008 (arrivato in Italia nel 2013) è l’applicazione preferita da tutti (ed infatti è la più scaricata). Il suo marchio, grazie alla longevità e al successo riscosso fin sa subito negli Stati Uniti, è il più conosciuto ed infatti la società detentrice del marchio (Spotify Ltd) detiene molti accordi esclusivi con le case discografiche che, spesso, permettono il lancio di singoli e album in anteprima sulla piattaforma verde (anche se, vedremo, nel giro di un anno è stata affiancata da un’altra piattaforma).

Tutto questo permette a Spotify di avere un catalogo ampio, universale ed adatto a tutti, anche grazie alle categorie automatiche che, basandosi sul genere di canzoni ascoltate dall’utente, crea delle playlist adatte a lui, il tutto in un’interfaccia pulita, chiara e di facile lettura da parte di tutti. Oltre al catalogo, però, Spotify ha altri punti di forza inattaccabili: l’universalità e la possibilità di ascoltare canzoni e playlist anche senza un abbonamento.

Partendo dall’universalità possiamo dire senza ombra di dubbio che, al momento, non ci sia piattaforma più universale di Spotify: sia che si utilizzi la versione web, sia che si utilizzi tramite app, Spotify girerà sempre bene ovunque, in qualsiasi sistema operativo, che sia un Android o un iOS, passando per Windows (desktop e mobile) e distro Linux. Di contro, questa universalità si scontra con un aspetto che, per un’applicazione di questa portata, è difficile da gestire e cioè il consumo che tende ad incidere in maniera spesso importante batteria e, in alcuni casi, memoria ram. C’è da dire, però, che rispetto agli anni scorsi, la situazione si sta pian piano evolvendo in positivo.

Il punto più importante, però, è la possibilità di ascoltare ciò che si vuole anche senza un abbonamento, dettaglio che ritroveremo solo in Deezer. Spotify, come detto, ha creato un vero e proprio business sul proprio marchio, attirando aziende vogliose di farsi pubblicità tramite contenuti audio e video ed infatti, grazie ai fondi delle pubblicità, permette agli utenti di ascoltare qualsiasi cosa anche senza l’abbonamento premium, ovviamente con qualche limitazione: su smartphone si deve per forza accettare la riproduzione casuale con massimo 7 skip volontari mentre su tablet e pc ci si deve sorbire la pubblicità.

Poco male, onestamente. Una grave mancanza, però, è l’impossibilità di ascoltare dei file locali in ambiente locale, per lo meno senza dei magheggi scomodi e poco intuitivi. Ciò vuol dire che se avete una traccia rarissima, del 1890 o di un artista poco conosciuto, che quindi non è su Spotify, pur avendo l’abbonamento Premium, in ambiente mobile non lo potrete riprodurre.

La versione Premium costa 9.9€ e abolisce tutte queste restrizioni, abilitando anche l’ascolto in alta definizione e la possibilità di scaricare le tracce offline. Inoltre, molte applicazioni musicali hanno accordi per la riproduzione di tracce Spotify nella propria piattaforma (ad esempio Sony Musica)

Pro Contro
Catalogo ampio;
Sistema di Playlist automatiche e Radio degli autori;
Anteprime in esclusiva;
Universalità;
Possibilità di utilizzare la piattaforma senza abbonamento
Consumo di risorse;
Mancanza di sincronizzazione dei file locali in ambiente mobile.

Il formato audio utilizzato è l’OGG, formato open che, in teoria, avrebbe dalla sua una minor propensione alla perdita di qualità audio, soprattutto in 320kbps (disponibili solo per gli utenti Premium) ma questa maggiore qualità, rispetto ai competitor, non si nota, anzi.

La qualità non è male (però sia chiaro, dipende ovviamente dal dispositivo e dlle casse/cuffie utilizzate, questo deve essere un punto da tener bene a mente) però, come vedremo, gli altri fanno meglio.

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Apple Music

Apple Music

Apple Music nasce in ritardo rispetto alle concorrenti. Apple ha sempre posto particolare attenzione su iTunes, rendendola parte integrante di un ecosistema quasi perfetto a cui tutti gli utilizzatori di prodotti con il marchio della mela (e non) non potevano fare a meno. Di contro, iTunes era rimasta troppo indietro coi tempi dato che oramai Spotofy, Google Play Music, Dezeer e molte altre piattaforme avevano preso il sopravvento, per questo nel giugno del 2015 nasce Apple Music, piattaforma che si affianca ad iTunes facendola tornare al passo coi tempi (il tentativo con iTunes Match, parliamoci chiaramente, non ha mai pagato).

Il primo punto a favore è il catalogo, fornitissimo e dettagliato, che nel corso del tempo ha superato, nei numeri, anche quello di Spotofy e tutto ciò deriva essenzialmente da una cosa. Il marchio. Ne abbiamo già parlato con Spotify, ma questo è da sempre un punto essenziale: il brand Apple è forte, troppo forte e sempre lo sarà. Il progetto Music è stato ufficializzato troppo tardi, ma tutto questo deriva dal lavoro certosino di Apple che, nel corso degli anni, ha stretto accordi commerciali importantissimi con case discografiche e con artisti che le hanno permesso di vantare esclusive di pari livello, se non superiori, a quelle di Spotify che ha dovuto prendere delle contromisure importanti.

Importante poi è l’integrazione con iTunes. Al contrario di Spotify (che è esclusivamente una piattaforma di streaming), iTunes e Apple Music permettono l’acquisto digitale di album e canzoni che, per molti, è una condizione essenziale e, al contrario della piattaforma verde, è possibile sincronizzare le tracce acquistate in precedenza e, soprattutto, i file locali . Ma non è tutto oro ciò che luccica. La funzione Radio, poi, è curata direttamente da esperti e non da un software automatico.

Se da una parte le esclusive, il binomio con Siri e la perfetta integrazione di iTunes fanno gola, bisogna anche andar incontro a ciò che, effettivamente, tarpa le ali di questa piattaforma. Non è gratuita. Non possiamo che partire da questo presupposto che è essenziale. Come detto, Spotify permette anche l’ascolto gratuito con pubblicità e qualità più bassa, Apple Music no e quindi se non detieni un abbonamento non te ne fai niente.

Ok, da PC puoi sempre usare iTunes, ma è poco, troppo poco ed è un punto troppo importante e critico. In più, Music non è multipiattaforma come Spotify e se non utilizzato in ambiente Apple, mostra tante criticità, una su tutte il consumo della batteria, poi la non sufficiente ottimizzazione che, purtroppo, si fa spesso sentire.

Dell’interfaccia non parliamo più di tanto, dato che comunque sono punti di vista soggettivi, ma la scelta dei pallini rosa sembra alquanto discutibile e non ha avuto, ancora ad oggi, il successo sperato da Apple.

L’abbonamento costa 9.9€ al mese.

Pro Contro
Catalogo ancora più ampio;
Esclusive ed anteprime;
Integrazione con iTunes e tutto il mondo Apple;
Compatibilità con Siri;
Possibilità di ascoltare file locali
Non disponibile in versione gratuità;
Universalità non al Top;
Interfaccia discutibile

Il formato audio utilizzato è l’AAC con una qualità massima a 256kpbs, numero che può far discutere ma che, in realtà, non si discosta molto dalla qualità a 320kbps degli MP3 o degli OGG proprio per la natura stessa del file AAC.

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Google Play Music

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Anche Google, nel 2011, ha deciso di buttarsi nel mondo dello streaming di musica online e l’ha fatto con Play Music, piattaforma che amplia ancor di più l’ecosistema Play. Anche in questo caso, il marchio Google ha permesso a Play Music di riscuotere un successo notevole. Infatti, sebbene non possa vantare di particolari anteprime e, soprattutto, esclusive (mancanza che si fa sentire, per lo meno nelle prime ore o nei primi giorni di uscita di canzoni e/o album), ha dalla sua un catalogo ben ampio che, rispetto ai competitor, può vantare alcune chicche come versioni speciali e tracce premium che su altre piattaforme non sono presenti.

Ma la mancanza di esclusive rimane comunque un problema important per la piattaforma di Big G.

Un punto a favore abbastanza importante, sicuramente, è quello del mondo offline. Cominciamo con il dire che è un servizio a pagamento, ma ne parleremo più avanti, ma è soprattutto un buon riproduttore offline che, al contrario di altre piattaforme, permette la sincronizzazione in cloud automatico di un massimo di 50.000 canzoni detenute dall’utente permettendone successivamente lo streaming, quindi senza che esse rimangano ad occupare spazio sul dispositivo.

Ma togliendo questo, Play Music purtroppo ha ben poche altre qualità (una di queste, però, è la qualità audio leggermente migliore degli altri competitor). La Radio è buona e funziona bene, sebbene sia curata da un software automatico. In più, come per iTunes, è possibili acquistare una copia digitale delle vostre canzoni preferite, che saranno poi sincronizzate con il vostro cloud. I punti dolenti sono prevalentemente tre: il servizio streaming non è gratuito, vive di fasi alterne e non è multipiattaforma.
Per quanto riguarda il primo punto, basterebbe fare copia/incolla della non gratuità di Apple Music, con l’aggravante, però, del fatto che Google non sia dotata di un software della portata di iTunes e che, quindi, la rende particolarmente debole rispetto agli altri competitors, competitività figlia anche del terzo punto e cioè il fatto che non sia multipiattaforma e qui bisogna aprire un capitolo a parte.

Google ha ormai dichiarato guerra a Microsoft e, come ben sappiamo, Microsoft è l’azienda leader nel settore desktop grazie al sistema operativo Windows. Bene, Google ha tagliato qualsiasi applicazione (tranne la piattaforma “Google” che racchiude quasi tutti i servizi web disponibili, ma si tratta semplicemente di un porting della versione web) marchiata G sia su desktop che sui mobile: questo vuol dire che se avete dei dispositivi Microsoft, vi dovete dimenticare di Play Music se non nella versione web, comoda quanto volete ma che porta in se alcune scomodità particolari.

Su iOS invece è presente ma, come per Music in ambiente Android, soffre particolarmente della poca ottimizzazione. Il secondo punto poi è un punto un po’ strano. Google si trova avvantaggiata in quanto è la sviluppatrice ufficiale di Android. Play Music gira bene ma, a volte, alcuni aggiornamenti la rendono inutilizzabile, soprattutto in dispositivi economici o un po’ datati, colpa soprattutto della troppa frammentazione del sistema Android.

L’abbonamento costa 9.90€ al mese.

Pro Contro
Versioni esclusive di alcuni album;
Qualità audio di poco migliore dei competitors;
Possibilità di ascoltare tracce in locale.
Non disponibile in versione gratuità;
Non è multipiattaforma;
Interfaccia spartana e poco intuitiva

Il formato utilizzato è MP3 e il bitrate massimo è 320kbps. Nonostante i numeri coincidano con quelli di Spotify e altre piattaforme, Play Music sembra lievemente migliore degli altri con frequenze un po’ più pulite e godibili e volume un po’ più alto. Parliamo, comunque, di piccolezze.

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Tidal

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Probabilmente molti di voi non la conosceranno, ma Tidal forse è una di quelle applicazioni che ha portato un’innovazione importante nel mondo della musica streaming, l’audio losless, cioè senza perdita di qualità, ma procediamo per gradi.

Tidal è nata da un progetto del celebre rapper Jay Z, marito di Beyoncé, spinto dalla volontà di portare la qualità audio di un CD nella musica in streaming, compito arduo, dato anche il settore piuttosto “saturo”, ma che, grazie alla sua notorietà (e alle sue collaborazioni iniziali), ha permesso a Tidal di riscuotere un successo non indifferente ed adesso può vantare un parco musicale di ben 25 milioni di titoli, minore dei 30 e passa dei maggiori competitor, ma è un risultato strabiliante data la poca longevità della piattaforma.

Prima di passare agli aspetti positivi, vediamo quelli negativi che vedono, come al solito, regina incontrastata l’impossibilità di ascoltare musica senza abbonamento, nonostante ci sia anche una versione (sempre da 9.90) con qualità audio normale (quindi mp3 da 320kbps. Detto questo, altri aspetti negativi non se ne trovano, se non il fatto che non sia completamente multipiattaforma (c’è la versione web, ma è meno grave della situazione che, comunque, si è creata con Google) e che per avviare il periodo di prova di 30 giorni bisogna obbligatoriamente inserire i dati di una carta di credito.

Gli aspetti positivi, invece, si ripercuotono sicuramente sulla qualità audio dell’abbonamento premium, da 20 euro al mese, che permette di ascoltare le canzoni in formato FLAC, cioè un formato comunque compresso, che permette però una perdita quasi nulla di qualità audio e anche a delle orecchie poco allenate, con una strumentazione perlomeno decente, la differenza si fa sentire (in positivo, ovviamente).

Parliamo, comunque, di file più pesanti, quindi è sconsigliabile ascoltare canzoni in formato FLAC sotto rete dati. Come detto, però, se si vuole ascoltare musica in formato MP3 a 320kbps (o semplicemente spendere meno), c’è il piano base da 9.90 che comunque apre le porte ad un catalogo vastissimo, sebbene non completo come gli altri.

PRO CONTRO
Qualità audio maggiore; Non disponibile in versione gratuita;
Parco titoli minore di tutti;
Prezzo più alto rispetto ai competitors;

Deezer

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Possiamo considerare Deezer come il padre effettivo di questo mondo fantastico. Infatti nasce nel 2007 come una piattaforma di condivisione di musica (più o meno come lo faceva Grooveshark) sotto un altro nome. Il problema nacque come, proprio come Grooveshark, la piattaforma fu utilizzata per la condivisione di musica senza diritti, portando alla chiusura del sito, poi riaperto con il nome di Deezer che, forte della collaborrazione con Sony e molti artisti indipendenti, si è imposto molto velocemente sul mercato diventando, poi, un colosso.

Al solito prezzo di 9.90, Deezer offre 35 milioni di brani su una piattaforma prevalentemente web (tranne che per le versioni per smartphone, dove ci sono ovviamente le applicazioni dedicate) che lo rende multipiattaforma solo in parte. Insieme a Spotify, Deezer è l’unica piattaforma utilizzabile anche gratuitamente via web e, come Spotify, permette comunque l’ascolto gratuito tramite smartphone con, però, alcune limitazioni e questo non può che essere un punto estremamente a suo favore.

Dovendo trovare dei difetti, bisogna considerare il fatto che non detiene più nessuna esclusiva (anche se ci sono titoli che su Spotifay e Play Music sono assenti) e che le play list automatiche sono un passo indietro rispetto ai competitor, pecca a cui risponde la funzione radio ben curata, precisa ed efficace.

PRO CONTRO
DISPONIBILE in versione gratuita;
Catalogo consistente;
Funzione Radio ben rodata
Mancanza di esclusive;
Playlist automatiche poco soddisfacenti

La qualità massima di Deezer è Mp3 a 320 Kbps music mentre nella versione gratuita di ascolta ad un bitrate massimo di 126 Kbps.

Amazon Music Unlimited

Amazon ultimamente ha deciso di buttarsi anche nel mondo della musica e lo ha fatto con la sua nuova piattaforma di streaming online che ha Fatto particolarmente discutere. Il colosso dello shopping online ci aveva già provato in precedenza (e la vecchia piattaforma rimarrà comunque online) ma con Amazon Music Unlimited ha finalmente compensato il gap che c’erano con i competitors.

Infatti, nonostante sia nata da meno di un anno, Unlimited può vantare del parco titoli più ampio di sempre con ben 50 milioni di brani in catalogo che supera di gran lunga i 35 milioni di SPotify, i 40 di AppleMusic e via via di tutti gli altri. Non è un caso che Amazon sia riuscita ad espandere così tanto il proprio catalogo visto che è il colosso dell’ecommerce anche in ambito musicale, sia con copie fisiche che, soprattutto, copie digitali di singoli ed album.

Sarebbe tutto perfetto, dato che esistono applicazioni apposite per smartphone (più la versione web per il desktop, quindi parliamo sempre di un multipiattaforma “a metà”), se non fosse che, come quasi tutte le piattaforme di streaming, non è gratuita e quindi necessita di un abbonamento (al momento in offerta) per essere utilizzata dall’utente.

Un punto di distinzione però, oltre che nell’interfaccia (che non è delle più intuitive, almeno all’inizio) è il sistema ben rodato di affiliazione. Si, proprio come su Amazon è possibile “guadagnare” tramite link di referal anche se l’utente finale non proceda, dopo il periodo di prova, al rinnovo dell’abbonamento.

Per gli utenti Prime, Unlimited è disponibile a 9,90 al mese o a 99 euro all’anno (quindi due mensilità di sconto).

PRO CONTRO
Catalogo più ampio di tutti;
Esclusive e anteprime in crescita;
Prezzo nella norma con sconto nell’abbonamento annuale;
Sistema di referal
Non disponibile in versione gratuità;

E voi, dopo tutta questa carrellata di servizi streaming musicali, quale avete deciso di utilizzare?

L’articolo App e siti streaming Musica: quale scegliere? appare per la prima volta su ChimeraRevo – Il miglior volto della tecnologia.

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