WiFi libero in Italia sempre più vicino: la modifica al Decreto del Fare
La digitalizzazione dell’Italia ed il cammino verso quella che si definisce “libertà della rete” fa un grosso passo in avanti grazie alla modifica delle ultime ore del Decreto del Fare: stando a quanto riporta “Il Sole 24 Ore”, infatti, l’obbligo di tracciare i dispositivi collegati alla rete Wi-Fi pubblica a carico dei vari esercizi commerciali andrà a decadere nel momento in cui tale decreto sarà approvato da Camera e Senato (cosa altamente probabile).
L’offerta di accesso alla rete Internet al pubblico tramite rete WiFi non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. Quando l’offerta d’accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° gennaio 2003, n.259 e successive modificazioni, e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni
In poche parole, al contrario di quanto recitava precedentemente il decreto (che imponeva precisi doveri ed obblighi per chi volesse fornire un servizio Wi-Fi), gli esercenti di fatto non saranno più tenuti a richiedere autorizzazioni, identificare i dispositivi collegati alla rete, tenere traccia dei dispositivi collegati alla rete e dell’attività di essi o quant’altro, a meno che non si tratti di un’attività che offre come fonte di guadagno quel tipo di servizio (ad esempio un locale adibito a solo Internet Point). Ciò significa che chiunque voglia offrire il servizio di connettività pubblica nel proprio bar, ristorante, negozio di abbigliamento e quant’altro potrà farlo liberamente installando una rete WiFi, senza richiedere registrazione né credenziali d’accesso.
Un passo avanti in tal senso era già stato compiuto nel 2011, in occasione della scadenza di alcuni termini del decreto Pisanu , tuttavia questa modifica al Decreto del Fare va a formalizzare di fatto questo “decadimento” e sollevare gli esercenti da alcuni obblighi provenienti dal codice delle comunicazioni (validi comunque per gli ISP) e dalle leggi anti-terrorismo del Pisanu stesso.
Un grande passo in nome della libertà ma che, come sempre, può rivelarsi un’arma a doppio taglio: offrire a chiunque un servizio Wi-Fi privo di identificazione può aprire le porte ad utenti malintenzionati (come è già successo all’estero in molteplici occasioni) che potrebbero sfruttare l’hotspot pubblico per attività illecite (che sia il download di contenuti protetti da reti di filesharing o la visita di contenuti web illegali o qualsiasi altra attività sui generis) con la tranquillità di non essere identificati, il che potrebbe essere una spina nel fianco di chi offre il servizio di hotspot gratuito.
In realtà, volendo scendere nel tecnico, per funzionamento intrinseco qualsiasi access point è in grado di memorizzare l’attività di rete eseguita tramite un certo indirizzo fisico, il che (anche se in maniera molto più macchinosa) rappresenta seppur indirettamente una modalità di identificazione; il consiglio per gli esercenti resta quello di richiedere – anche se non costretti – quantomeno il minimo indispensabile affinché un utente possa essere identificato in caso di attività illegale, sollevando così il titolare dell’attività da problemi legali non imputabili ad esso – se non per aver “ingenuamente” offerto un servizio gratuito e privo di ogni tipologia di identificazione.
Insomma Wi-Fi libero si, ma senza esagerare!
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